LA PARTENZA

Il 25 febbraio del 1968, pochi minuti dopo la mezzanotte, il vecchio sottomarino diesel-elettrico sovietico K-129 partì dalla base di Ribachiy, in Kamchatka. A bordo vi erano 98 uomini, quindici in più dell'equipaggio abituale. Ai comandi vi era Vladimir Ivanovich Kobzar, Capitano di prima classe. Nella grande vela del sottomarino trovavano posto tre missili nucleari, tipico armamento per un Classe Golf.

Qualche ora dopo il sottomarino scivolò sotto le gelide e scure acque del Pacifico settentrionale. Gli americani erano soliti appostarsi proprio davanti a Rybachiy con i loro sottomarini, ma lo USS Barb era completamente fuori posizione e quindi perdette il transito. La prima difficoltà del viaggio era superata e la posizione del K-129 rimaneva un mistero per chiunque eccetto il suo equipaggio.

IL VIAGGIO

Una sola cosa poteva ancora tradire la segretezza del battello: il suo rumore. Gli americani avevano tappezzato chilometri di fondale oceanico con migliaia di microfoni, drizzati negli abissi in una perenne missione di ascolto. Tuttavia, essi erano progettati per intercettare principalmente navi e sottomarini che navigavano con i motori Diesel accesi.

Il K-129, invece, aveva effettuato l'ultima parte del suo viaggio furtivamente grazie ai motori elettrici, emergendo per ricaricare le batterie solo nei punti dove le orecchie elettroniche del SOSUS erano poco sensibili. Kobzar naturalmente sapeva a memoria la posizione di questi luoghi, ed ora il Golf si trovava esattamente dove voleva, pronto per effettuare la sua missione clandestina.

Il 7 marzo, a notte fonda, diede l'ordine di emersione, salì sulla torretta e ammirò il cielo stellato. Tutto era calmo.

L'ARRIVO

La calma non durò a lungo. Pochi minuti più tardi, una violenta esplosione ruppe il silenzio. Nello spazio, un satellite spia americano rilevò il bagliore dello scoppio. Non c'erano dubbi sulla località: lo spettro corrispondeva perfettamente a quello dei missili in fiamme. I microfoni del SOSUS, silenziosi da settimane, registrarono tre boati distinti. L'incendio spazzò ogni compartimento con una velocità incredibile. Ulteriori esplosioni squarciarono la carena, facendo entrare tonnellate di acqua di mare nel vano batterie, producendo cloro e avvelenando chiunque fosse sopravvissuto al cataclisma iniziale. Ormai distrutto, il K-129 piombò negli abissi, arrestandosi finalmente sul fondo ad oltre 5000 metri di profondità.

Nel corso delle settimane seguenti, il Comando Centrale Sovietico divenne sempre più preoccupato per la sorte del K-129. Una massiccia operazione di ricerca comprendente 36 navi e 5 sottomarini, tra cui un altro classe Golf, venne lanciata verso l'area di pattuglia abituale.

Naturalmente, tutto ciò fu inutile. Il K-129, comandato da ribelli, si trovava molto più a sud. Prima di affondare, era infatti nella posizione perfetta per poter lanciare uno dei suoi missili termonucleari SERB direttamente su Pearl Harbor.

IL SEGUITO

Il relitto giaceva inerte sulla piana abissale. I corpi mutilati dell'equipaggio si confondevano con la fanghiglia. Lentamente, il sottomarino veniva ricoperto dall'inesorabile caduta di sedimenti.

Cinquemila metri sopra, un'enorme nave gru, la americana Glomar Explorer, era in posizione. I suoi propulsori direzionali la tenevano immobile nel punto prefissato. Un potente argano calava una gigantesca pinza nelle oscurità degli abissi. Decine di tecnici monitoravano col fiato sospeso la discesa attraverso gli schermi della sala comando. In cielo, un P-3 Orion della US Navy teneva alla larga eventuali occhi indiscreti.

La pinza si posò delicatamente sul sottomarino e lo arpionò. Quando i tecnici furono soddisfatti con la presa, gli argani si misero nuovamente in marcia, ed il K-129 iniziò la lunga ascesa verso la superficie.

Un colossale portello si aprì sul fondo della Glomar Explorer, consentendo l'ingresso del relitto in totale segretezza. I sommergibilisti, o quel che ne rimaneva, vennero seppelliti in mare con una cerimonia militare. Lo scafo del K-129, sommariamente ripulito, venne chiuso in un gigantesco contenitore.

Qualche giorno dopo, l'intera nave venne fatta evacuare, simulando un incendio. Solo due agenti della CIA, che erano stati incaricati di sorvegliare fino all'ultimo il prezioso carico, rimasero a bordo.

Un intenso bagliore seguì qualche ora dopo.

Contemporaneamente, ad alcune centinaia di anni luce dalla Terra, il K-129 ricompariva in un bacino di carenaggio coperto. Ufficialmente, l'operazione di recupero più costosa della storia terrestre fu un fallimento.

LA CONCLUSIONE

I tecnici lavoravano a pieno ritmo. Pezzo dopo pezzo, il K-129 stava tornando come nuovo. I suoi dettagliati progetti giacevano sul tavolo del Presidente, che li ammirava come fossero arte. Sapeva da tempo del segreto custodito all'interno di quel classe Golf, ed aveva lavorato duramente insieme ai migliori scienziati per potersene impossessare prima che potesse cadere nelle mani sbagliate. Aveva agito nel momento giusto, grazie alle persone giuste.

Il nuovo comandante era un giovane nativo del pianeta. Indossava una divisa particolare confezionata apposta per lui dal Presidente in persona, la cui giacca a strisce arcobaleno contrastava con la neve bianchissima appena caduta.

Sei mesi dopo, il K-129 prendeva il largo di nuovo. Era ormai lontano miliardi di chilometri dalle sue acque abituali del Pacifico, ma navigava esattamente come sulla Terra. Il comandante scrutava l'orizzonte limpido di quello strano mondo con i suoi caratteristici occhi magenta. Nulla da segnalare. Tutto era tranquillo.

Il segreto del K-129 era finalmente in salvo.